Controllo a distanza del lavoratore: il Jobs Act

controllo a distanza del lavoratore: il Jobs Act scherzosamente rappresentato da una confezione di Moment Act

Controllo a distanza del lavoratore o non controllo a distanza del lavoratore. In un recente articolo pubblicato su IPSOA.IT, Armando Tursi, Ordinario di diritto del lavoro nell’Università degli studi di Milano e Avvocato nello studio Crowe Horwath, analizza i recenti cambiamenti introdotti dal Jobs Act, in materia di controllo a distanza del lavoratore.

Questa nuova direzione imposta dalla legge delega 183/2014 considera una casistica ampia e un’ampia sfera semantica per la locuzione “controllo a distanza”, ma nel caso di Mobyx diventa interessante analizzare il dispositivo alla luce dei precedenti pronunciamenti del Garante, di cui possiamo dare un esaustivo prospetto informativo di sintesi. Puoi richiedere il prospetto se volesse approfondire gli aspetti sui controlli dei dipendenti.

“La disciplina statutaria dei controlli sull’attività dei lavoratori, concepita per regolare una organizzazione del lavoro incentrata sulla produzione industriale di tipo «fordista», è stata spiazzata dai mutamenti organizzativi e dalla diffusione pervasiva delle tecnologie informatiche e digitali,” scrive il professor Turisi.


Controllo a distanza del lavoratore: cosa diceva la legge

La legge n. 183/2014 delega il Governo a porre mano allo statuto dei lavoratori e lo autorizza alla «revisione della disciplina dei controlli a distanza sugli impianti e sugli strumenti di lavoro» (art. 1, comma 7, lett. f). Le tensioni insorgono laddove da un lato vi è la logica del vecchio statuto che vieta nel modo più assoluto il controllo a distanza, dall’altro si concretizza la possibilità di impiego delle nuove tecnologie per esigenze produttive, organizzative e di sicurezza, idonee a controllare anche i lavoratori (“controlli preterintenzionali”), con il solo obbligo di stipula di un accordo sindacale o di un’autorizzazione amministrativa della DPL, e dell’invio al Garante di un “per conoscenza” con richiesta di parere.

Se un tempo questi strumenti di controllo a distanza erano cosa diversa dagli strumenti utili allo svolgimento del lavoro (si pensi alla videosorveglianza), oggi vi sono molte tecnologie che uniscono il controllo a funzioni di miglioramento delle attività (come ad esempio la nostra App Rapportino di Lavoro, a Mobyx rilevazione presenze, ma anche alle scatole nere nei mezzi della flotta aziendale). Le tecnologie che questi strumenti incorporano sono ormai d’uso comune anche per la vita quotidiana (e non è un caso il BYOD sia un fenomeno che Evolvex osserva da sempre), sicché pretendere da un lato che l’azienda non possa servirsene per migliorare l’attività dei propri lavoratori, mentre dall’altro c’è la possibilità che il lavoratore se ne avvalga durante il lavoro anche per la soddisfazione di bisogni personali, crea una situazione di asimmetria.

Controllo a distanza del lavoratore: la via d’uscita dallo stallo

“La via d’uscita da questa situazione di impasse – scrive Tursi – elaborata faticosamente dalla giurisprudenza d’inizio millennio, è quella di distinguere i controlli sull’attività dei lavoratori, dai “controlli difensivi”, intendendosi per tali quelli che hanno ad oggetto non già l’espletamento diligente, esatto e fedele della prestazione di lavoro, ma la commissione e prevenzione di illeciti estranei all’oggetto della prestazione lavorativa, ‘quali, ad esempio, i sistemi di controllo dell’accesso ad aree riservate o … gli apparecchi di rilevazione di telefonate ingiustificate” (Cass. 4746/2002).”

Questa soluzione, però, rapportata al controllo a distanza del lavoratore, presenta molte lacune (ne dà ampiamente illustrazione nel suo articolo il professore). Si profila, quindi, una seconda più radicale considerazione: “quella di aggiornare la nozione di ‘altre apparecchiature di controllo’, distinguendo tali apparecchiature a seconda della finalità per cui sono concepite. E così: se lo scopo diretto e funzionale dell’apparecchiatura è quello di realizzare operazioni di verifica e riscontro, l’apparecchiatura è “di controllo”, ex art. 4.2. s.l.; altrimenti (pc, cellulari, palmari, e-mail, browser di internet), [non lo è e siamo] fuori dal campo di applicazione dell’art. 4 (…)”.

In sostanza, spiega Tursi, se la direzione del Governo è quella di sottrarre gli strumenti digitali (PC, internet, posta elettronica, badge, RFID, dati biometrici, ecc.) dalla lista degli strumenti di controllo, perché concepiti per finalità diverse dal controllo, si andrebbe incontro al venir meno dell’obbligo della procedura sindacale-autorizzatoria prevista e si aprirebbe la strada ad una più immediata possibilità di utilizzo di questi senza presumibilmente nemmeno l’obbligo della semplice informativa privacy.

ALTRI ARTICOLI RECENTI